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30 aprile 2020 | BLOG

COVID, Cibo, Ristorazione ed Architettura

Pensieri pandemici ed auspici per il futuro.

“Nel cibo e nell’atto di mangiare si riflettono, con più immediatezza che altrove, i mutamenti che avvengono nei valori e negli stili di vita” (Il nuovo consumatore: verso il postmoderno,Fabris, 2003).

Mai affermazione più giusta e calzante per questi tempi, in cui la pandemia ci ha drasticamente cambiati nelle abitudini e negli stili di vita. Neanche il tempo di esplodere definitivamente, che il food delivery è già pronto ad evolversi; e non resta come un’idea risolutiva per chi non ha tempo o voglia di cucinare, magari tornato a casa tardi la sera, stremato da una interminabile giornata lavorativa. Oggi è diventato per molti “essenziale”, risolvendo molte problematiche logistiche all’interno dei nuclei familiari in quarantena, grazie anche ad i crescenti servizi di grocery online.
Risoluzione di problematiche, ma anche ricerca di comfort; quanti di noi, in questa crisi, hanno cercato conforto nel cibo?
L’home delivery è stato e continuerà ad essere un plus nel settore della ristorazione, e non diminuirà con le riaperture, ma continuerà ad affiancare l’attività tradizionale indoor. Questo aspetto non può far altro che rendere il mercato ancora più competitivo, per cui ci sarà necessità di differenziarsi: da parte dei ristoratori sarà necessario arricchire il servizio di consegna con aspetti esperienziali diversi e di livelli superiori, soprattutto per i migliori. Packaging, servizi ed assistenza pre e post vendita, tipologie di offerta e di personalizzazioni saranno dettagli necessari affinché il cliente, possa vivere un’esperienza unica all’interno del focolaio domestico, come se fosse al ristorante. A dimostrazione di ciò, abbiamo visto come i migliori chef stellati si siano reinventati, adattando il proprio business in base alle esigenze e alle modalità di consumo emerse a seguito dell’emergenza: box contenenti pranzi o piatti semilavorati, da spedire e far arrivare nelle case dei clienti, i quali iniziano la propria esperienza culinaria in maniera del tutto diversa dal solito, inserendo la propria manualità nell’ultimazione del piatto, avvicinandosi in questo modo “fisicamente ed idealmente” all’idea di cucina che si è scelto di provare. Lo stesso trend vale anche per i migliori cocktails bar in Italia, i quali si sono organizzai per far recapitare direttamente a casa una serie di cocktail “ready to drink”, confezionati o messi sottovuoto secondo le più disparate ed ingegnose idee.

Come in ogni ambito, ci siamo resi conto che c’è un prima e un dopo Covid-19; lo stesso vale nel mondo della ristorazione e del food. Ci sarà, o almeno ci auguriamo, che ci sia un’inversione di rotta, e che questi giorni di fermo, scanditi da un lento scorrere del tempo, ci abbiano aiutato a riflettere e rallentare, a goderci in pieno tutte quelle piccole cose che solitamente abbiamo in passato trascurato. Il bisogno di velocità e praticità di consumo, dettato dalla diminuzione dei tempi da dedicare ai pasti, forse da oggi farà spazio ad una maggiore ricerca di tempo e di attenzione all’esperienza. Mangiare non sarà solo una questione di palato. E se prendiamo in considerazione i nuovi ristoranti di fascia alta, la tendenza sarà quella di una sorta di nuovo “luxury eating”.
Da un punto di vista progettuale, il ristorante rappresenta uno spazio multifunzionale per eccellenza, in quanto deve accogliere più gruppi di persone, diversi per ruolo: dagli chefs in cucina all’accoglienza ed al servizio in sala, fino ai clienti. Deve inoltre saper inserirsi più o meno in modo significativo nel territorio, urbanisticamente, socialmente, dal punto di vista ambientale ed in relazione allo spazio che lo circonda. Se si parla invece di una dimensione estetica, il cibo e la cucina non possono non esser raccontati dall’idea architettonica e dal luogo. Forma e contenuto devono instaurare un dialogo serrato, fornire all’ospite una coerenza sensoriale, bellezza e bontà. Il luogo deve quindi riflettersi nei piatti e questi rispecchiare la natura del luogo, al fine di arrivare ad un’esperienza culturale multisensoriale.

Si basti guardare ad alcuni anticipatori di questo pensiero, come ad esempio il nuovo Noma a Copenaghen, uno dei più avanguardisti e famosi ristoranti al mondo, che nel 2017 ha chiuso i battenti per poi rinascere nel 2018, in una nuova location. Lo chef René Redzepi incontra l’architetto Bjarke Ingels: prende vita un nuovo progetto, in un antico cantiere navale della Royal Danish Navy, situato su una striscia di terra compresa fra due laghi salati, in un prezioso contesto paesaggistico e naturalistico. Nasce una sorta di piccolo borgo scandinavo, un polo gastronomico, una comunità creativa di persone che si distribuisce all’interno di undici corpi diversi; all’ex magazzino, già esistente, sono stati aggiunti altri volumi, ognuno dei quali ha una funzione ben precisa. Ogni edificio, realizzato con un aspetto unico e materiali naturali diversi a seconda della sua destinazione d’uso, è collegato da percorsi coperti in vetro, in modo che gli chef e gli ospiti possano seguire i cambiamenti di tempo, luce e stagioni: l’ambiente naturale diventa parte integrante dell’esperienza culinaria. Tre serre sono state posizionate su vecchie fondamenta di cemento, ospitano un giardino d’inverno, una cucina di prova e un panificio.

Il Noma 2.0 dirompe l'idea tradizionale di un ristorante nelle sue parti costitutive e le riassembla, ponendo gli chef e la cucina al centro di tutto; ogni parte dell'esperienza del ristorante (l'arrivo, il salone, il barbecue, la selezione di vini e l'azienda privata) è raggruppata intorno agli chef, i quali, dalla loro posizione centrale, hanno una panoramica perfetta in ogni angolo del ristorante permettendo ad ogni singolo ospite di seguire ciò che accadrebbe tradizionalmente dietro le quinte. L’atmosfera degli interni risulta accogliente, domestica, capace di trasportare il cliente in una dimensione di relax e di benessere, scaldato da materiali naturali tipicamente nordici.

Un perfetto esempio di ristorazione in cui i valori della cucina e del ristorante si confondono per similarità a quelli dello studio che ne ha curato la progettazione, improntati entrambi cioè alla creatività e a una sorta di “sostenibilità edonistica”, ovvero all’idea che la città più sostenibile è anche la città più piacevole in cui vivere, caratterizzata da una maggiore consapevolezza di se stessi, degli altri, del patrimonio culturale, della natura e delle risorse.
Ed è a questo tipo di “luxury eating” che mi auguro si possa arrivare, e non riferendosi ad un senso canonico di “lusso”, perché la sfida sta nel non intendere la sostenibilità come un optional, un surplus facoltativo da considerare come dilemma morale, ma come un elemento che sia in grado di migliorare la qualità della vita, diventando una vera e propria sfida per il design.

architetto Nina Russo